Il Cinema post-mortem

Il cervello, con le sue sinapsi ed i suoi neuroni, ha delle potenzialità straordinarie che molto spesso sopperiscono alla mancanza o morte di un punto di vista narrativo: il personaggio. Far narrare una storia da un personaggio che si presenta già trapassato all’inizio della vicenda non è una consuetudine del cinema moderno o contemporaneo. Un testo filmico affascinante e monumentale come Viale del tramonto (Billy Wilder, 1950) inizia proprio così: il cadavere di un uomo galleggia in una piscina, e la vicenda viene ripercorsa da un lungo flashback appartenente alla mente del corpo privo di vita. Il cervello diviene il punto di vista, l’istanza narrante. E’ come se l’organo continuasse una propria esistenza oltre la morte, un’esistenza totalmente disinteressata alle sorti del resto del corpo a cui appartiene. Ma non ritroviamo questo affascinate espediente narrativo, nel cinema classico, solo nel melò/noir sopracitato.

Circa tre anni prima, un altro grande cineasta come Charlie Chaplin aveva sperimentato questo spaziante incipit: in Monsieur Verdoux (1947) la macchina da presa mostra per prima cosa la tomba del protagonista da cui proviene la voce narrante che ci introdurrà ai fatti di questa geniale commedia nera.

Ma è con la modernità che le potenzialità del cervello (grazie anche allo sviluppo tecnico/stilistico della macchina cinema) hanno potuto avere una giusta manifestazione o raffigurazione visiva sullo schermo. Uno degli esempi più geniali ma allo stesso tempo controversi è Strange days (Kathryn Bigelow, 1995): in questo sci/fi thriller, la droga che sta spopolando in America è costituita da dei dischi in cui sono registrati gli attimi di vita più intensi di una persona trapassata. Il cliente può dunque decidere di vivere una intensa esperienza sessuale, una rapina a mano armata carica di adrenalina, un momento romantico ecc… I proprietari di quelle immagini mentali non sono più tra i vivi, eppure chiunque può accedere a quelle immagini pagando una somma ragionevole.

Altro esempio eclatante è Il sesto senso (M. Night Shyamalan, 1999). In questo caso il cervello si dimentica “di essere morto” e permette ad un fantasma di convivere con un bambino che è in grado di vedere gli spiriti (il sesto senso del titolo è proprio una caratteristica percettiva potenziata nel cervello del piccolo protagonista).

In altre pellicole le “manifestazioni narrative” del cervello sono totali o si presentano in modo alternato: il primo è il caso di Inception (Cristopher Nolan, 2010) mentre il secondo di Source code (Duncan Jones, 2011). Nel film di Nolan tutto il film non è altro che un delirio onirico architettato dal subconscio del protagonista: un solipsismo totale (solo io, e quindi solo la mia mente esiste) senza una via di ritorno per il mondo del reale. Nella seconda opera di Jones il cervello di un soldato morto viene collegato a quello di una delle vittime di un attentato terroristico. In questo modo l’ufficiale può rivivere continuamente gli ultimi 8 minuti precedenti l’esplosione ed individuare il colpevole. Sono i collegamenti tra i due cervelli appartenenti a corpi trapassati a permettere al protagonista di continuare l’indagine.

Il cervello indipendente sta diventando un consuetudine narrativa estremamente caratterizzante il cinema moderno: vedremo se questa scelta stilistica sarà man mano arricchita da trovate originali o se scivolerà inevitabilmente nell’eterno ritorno dell’uguale.

>Stefano Tibaldi<


Lascia un commento