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A history of violence

Voto 16/20

Sì, è una storia di violenza.
Non possiamo non considerarla tale perché non nasconde nessuna delle azioni effettivamente violente che vi accadono. E persevera (col senno di poi), in questa scelta, inserendo come incipit una scena di violenza totalmente gratuita, in sé chiusa e conclusa.
Ma è interessante notare come tutto origini da un desiderio ardente e maturo di eludere la violenza. Un rifiuto violento della violenza, che continua a produrre violenza, assolvendo solo parzialmente l’artefice.

Del film, a ben vedere, dato l’approccio modesto (senza infamia e senza lode) alla fotografia, ai dialoghi, alla recitazione, ..è da considerarsi rilevante soltanto la capacità tecnica di dissimulare il Vero.
Per quasi un’ora, l’identità del protagonista è minuziosamente sezionata e proposta a piccole dosi, in funzione di una scelta narrativa che ne esalti la parzialità. Eppure quegli aspetti riescono a risultare coerenti con le caratteristiche complessive del personaggio, che non è mai forzatamente snaturato (né schiacciato all’interno del micro-quadrocaratteriale della prima parte né dissolto all’interno del successivo quadro, più ampio).
Una lezione sulle potenzialità direzionali del sistema registico.

È chiaro che non è impossibile contemplare fin dall’inizio ANCHE l’ipotesi che dietro a quel cittadino modello si celi un passato da criminale, ma è evidente come risulti più convincente (persuasiva) la possibilità che le motivazioni che hanno condotto quegli uomini sulle sue tracce si fondino su un terribile equivoco. L’abilità dell’autore sta nel sapere esattamente quali dettagli filmici contribuirebbero a rafforzare la tesi del “segreto inconfessabile” (..un momento di incertezza..uno sguardo sospetto..un gesto malcelato..) e quali rafforzerebbero la tesi dell’equivoco.
Questo, stimolando con precisione le esperienze pregresse dello spettatore, abituato a soluzioni senz’altro più articolate ma oltremodo sfruttate.

|SF|