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Voto 18/20

Quando si parla di film “perfetto”, non può non venire in mente questa straordinaria commedia di Billy Wilder. Ma in che cosa risiede la perfezione in un film? Beh, la perfezione è rintracciabile in un’opera cinematografica se quest’ultima è perfetta in ogni suo elemento filmico, pro-filmico e attoriale. Ed in questo caso  la perfezione è riscontrabile e tangibile in ogni frame del testo filmico.

Innanzitutto c’è nel ritmo, nell’alternarsi di situazioni movimentate che vanno dal tragicomico (la fuga dai gangster dei due protagonisti, interpretati magistralmente da Jack Lemmon Tony Curtis), al dialogo frizzante composto da velocissimi ed esilaranti botta e risposta, momenti equivoci e travestimenti lampo fino ad arrivare a frangenti romantici e pseudo-erotici (la scena sullo yacht). E’ il ritmo, che solitamente è scandito dal montaggio, ad essere talmente elevato a livello narrativo e non formale a non permettere mai allo spettatore di annoiarsi e di perdere momentaneamente interesse alla vicenda raccontata. Inoltre Wilder aggiunge sapientemente molti piani dedicati alla splendida icona immortale di Marilyn Monroe: piani che non fanno altro che agguantare continuamente lo spettatore in una fascinazione contemplativa inesauribile. Ed il gioco (magnifico) è fatto: seppur in alcuni ma brevissimi momenti morti la narrazione è in stallo, la fascinazione che esercita la bellissima star non fa mai calare il livello di attenzione e la sensazione “di perfezione” perdura fino alla fine della visione.

Pur essendo nella sua quasi totalità una commedia degli equivoci tinta di rosa, il film di Wilder ha dei momenti eccezionali che rimandano ad altri generi “forti” della Hollywood classica: il gangster movie ed il noir. L’inizio è fuorviante e si pensa di assistere veramente ad un crime movie (che ha molte risonanze con la Strage di San Valentino), ma ecco che l’entrata in scena dei due sgangherati protagonisti  il tono drammatico ed adrenalinico scema notevolmente per lasciare spazio all’ironia e alla risata. Ma la componente criminale della pellicola ritorna verso l’epilogo, con tanto di sparatoria ed inseguimenti vari. Wilder (maestro anche del cinema nero hollywoodiano) sa perfettamente amalgamare alla perfezione i due generi a lui più consoni, senza sbavature, smagliature di sceneggiatura o la ormai stracitata carenza di ritmo.

Si, decisamente questo è uno dei film più “perfetti” mai apparsi sul grande schermo.

>Stefano Tibaldi<


Il Cinema post-mortem

Il cervello, con le sue sinapsi ed i suoi neuroni, ha delle potenzialità straordinarie che molto spesso sopperiscono alla mancanza o morte di un punto di vista narrativo: il personaggio. Far narrare una storia da un personaggio che si presenta già trapassato all’inizio della vicenda non è una consuetudine del cinema moderno o contemporaneo. Un testo filmico affascinante e monumentale come Viale del tramonto (Billy Wilder, 1950) inizia proprio così: il cadavere di un uomo galleggia in una piscina, e la vicenda viene ripercorsa da un lungo flashback appartenente alla mente del corpo privo di vita. Il cervello diviene il punto di vista, l’istanza narrante. E’ come se l’organo continuasse una propria esistenza oltre la morte, un’esistenza totalmente disinteressata alle sorti del resto del corpo a cui appartiene. Ma non ritroviamo questo affascinate espediente narrativo, nel cinema classico, solo nel melò/noir sopracitato.

Circa tre anni prima, un altro grande cineasta come Charlie Chaplin aveva sperimentato questo spaziante incipit: in Monsieur Verdoux (1947) la macchina da presa mostra per prima cosa la tomba del protagonista da cui proviene la voce narrante che ci introdurrà ai fatti di questa geniale commedia nera.

Ma è con la modernità che le potenzialità del cervello (grazie anche allo sviluppo tecnico/stilistico della macchina cinema) hanno potuto avere una giusta manifestazione o raffigurazione visiva sullo schermo. Uno degli esempi più geniali ma allo stesso tempo controversi è Strange days (Kathryn Bigelow, 1995): in questo sci/fi thriller, la droga che sta spopolando in America è costituita da dei dischi in cui sono registrati gli attimi di vita più intensi di una persona trapassata. Il cliente può dunque decidere di vivere una intensa esperienza sessuale, una rapina a mano armata carica di adrenalina, un momento romantico ecc… I proprietari di quelle immagini mentali non sono più tra i vivi, eppure chiunque può accedere a quelle immagini pagando una somma ragionevole.

Altro esempio eclatante è Il sesto senso (M. Night Shyamalan, 1999). In questo caso il cervello si dimentica “di essere morto” e permette ad un fantasma di convivere con un bambino che è in grado di vedere gli spiriti (il sesto senso del titolo è proprio una caratteristica percettiva potenziata nel cervello del piccolo protagonista).

In altre pellicole le “manifestazioni narrative” del cervello sono totali o si presentano in modo alternato: il primo è il caso di Inception (Cristopher Nolan, 2010) mentre il secondo di Source code (Duncan Jones, 2011). Nel film di Nolan tutto il film non è altro che un delirio onirico architettato dal subconscio del protagonista: un solipsismo totale (solo io, e quindi solo la mia mente esiste) senza una via di ritorno per il mondo del reale. Nella seconda opera di Jones il cervello di un soldato morto viene collegato a quello di una delle vittime di un attentato terroristico. In questo modo l’ufficiale può rivivere continuamente gli ultimi 8 minuti precedenti l’esplosione ed individuare il colpevole. Sono i collegamenti tra i due cervelli appartenenti a corpi trapassati a permettere al protagonista di continuare l’indagine.

Il cervello indipendente sta diventando un consuetudine narrativa estremamente caratterizzante il cinema moderno: vedremo se questa scelta stilistica sarà man mano arricchita da trovate originali o se scivolerà inevitabilmente nell’eterno ritorno dell’uguale.

>Stefano Tibaldi<