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Eraserhead-La mente che cancella

 

Voto 19/20

Il film d’esordio di David Lynch nasce innanzitutto da quel clima d’avanguardia studentesca attiva negli anni ’70, dove si era soliti mischiare e far confluire tra loro diverse forme di messa in scena cinematografica fortemente legate alla pittura e alla videoarte. Il regista era il creatore tout court dell’opera, l’artigiano/scultore che creava le scenografie e gli effetti speciali, scriveva, girava, tagliava, montava a suo piacimento. Un’idea di cinema totalmente libera ed indipendente, che portava il suo autore ad avere la stessa forma di isolamento intellettuale/creativo tipica del pittore o del poeta.

Eraserhead nasconde, sotto i suoi strati weird, orrorofici e visionari, un substrato tragico ed emotivamente devastante: la paura della paternità sancita dall’orrore quotidiano (in questo caso da intendersi come familiare, cioè orrore del vivere in famiglia). Questo orrore è tangibile già nell’atto stesso della procreazione: il protagonista è disgustato dal sesso con la propria consorte, ma non disdegna l’atto sessuale di per se. Non tollera l’atto quando questo avviene con la propria moglie, perché sa che in quel caso il sesso genera una creatura che lui non desidera e di cui non vuole essere responsabile. Ma con la sua conturbante vicina di casa questo non avviene: in quel caso il sesso è un atto adulterino, quindi è chiaro che da quell’amplesso non vi è alcun pericolo di creazione di un nucleo familiare.

Henry (è il nome del protagonista) non ha mai un rapporto sessuale con la moglie, eppure lei rimane incinta e lo annuncia nel grottesco ed inquietante pranzo con la famiglia. Una famiglia che non ha nome, che potremmo chiamare “coniugi X” o “famiglia X“: quest’assenza del nome, che è l’elemento base con cui un soggetto o più soggetti vengono riconosciuti, rafforza maggiormente la volontà dell’autore (e di Henry) di negare il nucleo familiare, di cui anche l’enunciazione verbale del nome è causa di disagio. Inoltre, l’atto sessuale generativo non è mai avvenuto e Henry nega la paternità della creatura che la donna porta in grembo. E’ per questo che l’uomo sogna la Lady del termosifone deforme che canta In Heaven everything is fine ( In cielo tutto va bene) mentre schiaccia degli enormi spermatozoi: la donna elimina gli agenti stessi della paternità, liberando la mente di Henry dall’angoscia di diventare padre. Il cielo a cui si riferisce questo freak femminile rappresenta per l’uomo una sorta di paradiso dove lui non è padre e non ha figli, quindi un luogo dove “va tutto bene”.

Altra sequenza che mette in mostra l’assenza strutturale del sesso coniugale è l’abbandono della casa da parte di Mary (la moglie): nel cercare di liberare la valigia da sotto il letto, la donna fa sbattere quest’ultimo in modo molto violento. Il movimento non fa che simulare un atto sessuale decisamente brutale ed animalesco: anche qui al sesso è accostata la violenza, l’orrore di un atto distruttivo piuttosto che creativo. D’altronde questa violenza sessuale era stata anticipata dal pollo che si anima durante il pranzo: il suo muovere le zampe e la fuoriuscita di un liquido denso e scuro rimandavano alla perdita della verginità.

Henry, nelle sue movenze e nel suo abbigliamento, è una caricatura comica e buffa. Sembra essere una sorta di Charlie Chaplin o Buster Keaton, inserito in un contesto alienante e disturbante; un contesto che lo confonde sempre di più. E’ il perturbante freudiano: l’uomo si trova circondato da oggetti comuni e familiari, ma quest’ultimi sono trascinati in un mondo “altro”. Il loro spostamento genera l’inquietudine, e vengono continuamente percepiti come ripugnanti e paurosi perché inseriti in una realtà a loro non consona. Un perturbante che è amplificato anche dal complesso ambiente sonoro del film.

Il fuoricampo di Eraserhead, da cui provengono la maggior parte dei suoni disturbanti, è in un certo qual modo assoluto, perché quasi mai nel testo filmico viene messa in quadro la fonte dell’inquietante manifestazione sonora. Alle volte questi suoni sembrano finti e volti ad ingannare lo spettatore, alle volte sono descrittivi e vanno a sostituire “il tutto”: sono suoni che disegnano una metropoli moderna e metallica, ma che non viene mai mostrata se non in minime porzioni. Una città dove la gente normale non passeggia, non si manifesta o sembra non esistere. Sono tutte assenze visive e presenze sonore che esistono simultaneamente e aumentano e dismisura lo stato perturbante. Senza dimenticarci del bambino/mostro: la sua raffigurazione visiva non è verosimile, tuttavia i vagiti ed i lamenti che tira fuori ce lo fanno percepire effettivamente come un bambino appena nato che ha bisogno di cure. E ciò avviene soprattutto quando la fonte del pianto non è in campo.

>Stefano Tibaldi<