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La Jetée

Voto 18/20

Limitare, non equivale a ridurre.
Il limite, come ottimizzazione quantitativa delle risorse, può significare un processo di amplificazione, laddove togliere spazio ad una funzione espressiva si traduce nel potenziamento di un’altra funzione.
L’energia non viene dispersa, si raduna attorno a pochi elementi essenziali.

Eccolo, dunque, il “Limite” di quest’opera:
un manipolo di immagini in bianco e nero e una voce fuoricampo.
Null’altro.
Non solo è il minimo indispensabile, ma è solo e soltanto ciò di cui si ha realmente bisogno.

L’opera nasce dall’accostamento progressivo di fotografie.
Almeno in teoria, questa affermazione non dovrebbe suscitare alcuno stupore, essendo ogni film, infatti, in ultima analisi, l’accostamento progressivo di fotografie.
In realtà, però, mentre l’evento filmico in senso stretto si avvale della tecnica fotografica per generare, a partire dall’immobilità sostanziale, una motilità illusoria, quest’opera in particolare de-lude l’aspettativa filmica, infrange l’illusione, riconosce alla fissità dell’immagine un valore di sussistenza autonoma, ed esalta l’intenzione mnemonica di possessione che la singola immagine incarna.

D’altronde, la prima frase in assoluto (la prima affermazione dell’opera, nell’opera, sull’opera stessa) è significativa non soltanto per lo sviluppo circolare della trama, ma anche per la capacità di descrivere questa peculiarità formale.
“Questa è la storia di un uomo segnato da un’immagine d’infanzia”.
Un’immagine che determina, nello stesso istante, il luogo di origine e il punto di approdo di un percorso inafferrabilmente più ampio.
[Ecco spiegata, fra l’altro, l’eccezionale precisione con la quale il titolo (“La Jetée”, il molo) riveste metaforicamente, sottolineandolo, l’elemento focale di tutta l’opera (luogo d’origine e punto di approdo).]

Dovrebbe trattarsi di un lavoro di fantascienza, realizzato con mezzi particolarmente economici per questo genere, senza alcun tentativo di spettacolarizzazione. Eppure questa constatazione tecnica, si lascia afferrare ed apprezzare, poco a poco, come cifra stilistica, sgretolando la granitica “certezza di genere”. Il pretesto narrativo è senza dubbio fantascientifico, ma estendere questa definizione all’opera nella sua spiazzante interezza, vuol dire costringere a forza l’Oceano in un bicchiere.

Le immagini, nel loro lento-e-intenso migrare, lasciano orme troppo profonde per poterle considerare quale componente accessoria.
L’Immagine (attraverso le immagini) è la prima fondante “definizione di genere”.
L’effetto risultante, generato dal materiale visivo (fluido, pur incastonato nello schermo), è una sorta di eco visiva.
L’occhio è sfiorato, poi afferrato, poi premuto. Uno scoglio inerme, levigato con cura da flussi e riflussi continui, che ne tracciano delicatamente la superficie.

|SF|


Il Palloncino Rosso

Voto 17/20

Nessun giro di parole.
I passi di un bambino sulla strada (Un cane..lo accarezza). Scende lungo la scalinata di un vicolo.
Qui, si ferma, guarda in alto, si arrampica su un lampione e raggiunge agilmente un palloncino rosso, annodato attorno all’estremità del palo. Scioglie il nodo, afferra il filo tra i denti e lo porta con sé.
Non una parola. Non un gesto di troppo.
La telecamera accompagna dolcemente questo Incontro, presente e attenta, ma defilata (pur nella sua centralità prospettica). L’occhio abdica alle Immagini, senza pretesa di narrare, senza didascalie. Suggestiona senza Suggerire.
È la testimonianza microscopica di un Evento irripetibile, lungo un respiro.
Già questo un dono.

Da questo punto in poi, il bambino inizia a farsi Bambino, quale Archetipo impeccabile della Fanciullezza, tanto è essenziale la maniera in cui la sua figura e il suo comportamento ritraggono questa forma esistenziale.
Il palloncino rosso, invece, persistendo nella sua condizione oggettuale, pur anelando continuamente alla “Maiuscola”, all’Archetipo, non può elevarsi oltre il grado di transitorietà. DEVE essere (e apparire) occasionale, contingente, fragile. Eppure, essere continuamente legato alla centralità del bambino, lo espone a questa centralità caratteriale.

Brevi/Lunghe sequenze della corsa sulla strada e sul marciapiede (con il palloncino..).
L’arrivo a scuola (con il palloncino..).
L’uscita da scuola (con il palloncino..).
Passare da ombrello a ombrello, accompagnato da un passante sempre nuovo (con il palloncino, anche lui protetto dalla pioggia).
Passaggi purissimi di una condivisione muta, che non necessita d’altro che non sia Limpida Presenza.

È trascorso circa un terzo di quest’opera, quando dai lati opposti della stessa finestra (entrambi schiacciati contro il vetro alla ricerca di un contatto) il Bambino e il palloncino rosso scoprono la possibilità di una nuova distanza
(anche a scuola si erano divisi, ma il palloncino era stato affidato a un inserviente della scuola, nella scuola).
Solo a questo punto, reso (resosi!) consapevole di questa possibilità, il palloncino inizia a mostrarsi in tutta la sua spontaneità animica.
Come se l’intensità degli istanti condivisi fino a quel momento comportasse la necessità di negare, anche sul piano fisico, una superficialità non più “dovuta”, inautentica.
Il palloncino non riesce e non può più fingere una persistente verosimiglianza.
Nega la banalità, non la leggerezza, a vantaggio di un’espansione comunicativa che lo vivifica. Riconosce, oltre il sottile strato rosso, nell’aria, un alito. Contagiato dalla Fanciulezza, diviene Fanciullo. Non un’appendice, o un corollario di quell’Archetipo, ma una sua espressione ulteriore ancora più essenziale di quella incarnata nel bambino. Inoltre, traducendo le potenzialità simbolizzanti della Fanciulleza rispetto alla Realtà oggettuale, Diviene Archetipo Paradossale dell’Oggetto-Qualunque-De-Qualunquizzato.

In meno di 30 minuti complessivi, trova dimora Ogni Sfumatura Drammatica, Ogni Evento Relazionale, dall’Incontro fortuito alla Distanza lacerante. Un percorso completo, raffinato nella sua capacità di contenere e gestire e riprodurre dinamiche universali nella più piccola porzione dimensionale concepibile.

Un’opera piena di Retorica..
..nella migliore accezione possibile.

Inno alla Limpidezza.

|SF|