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Argo

SC: …e da quando la mediocrità è diventata vincente? Da quando dei film “normalissimi” suscitano così tanto clamore tra la critica? Da quando una sceneggiatura lineare e scontata come quella di Argo fa gridare al capolavoro? Ero entrato in quella sala con tante speranze e ne sono uscito con tante domande. Probabilmente, se non avessi avuto tutta questa attesa spasmodica creata del fenomeno attorno al film non ne sarei rimasto così deluso, ma quel che conta è che Argo resta, in tutti i casi, un film discreto e nulla più.

SF: Ho notato, con altrettanto (se non maggiore) stupore, che l’operazione commerciale di riabilitazione registica di Ben Affleck è stata così ampia e sfavillante da oscurare completamente l’ennesima prova attoriale indecorosa, inarrivabilmente insipida. Avrà avuto la sua parte, in questa operazione di intorpidimento critico, il ruolo giocato dall’eccezionale abbondanza di “peli”, sopra, sotto e tutt’intorno il faccione de-espressivizzato di questo ARTISTA-tuttofare.

SC:…e se provassimo a fare un’analisi obiettiva, avulsa da tutto ciò che ha rappresentato il film nei mesi successivi alla sua proiezione? Come se non fossimo a conoscenza del forte successo commerciale e di critica che Ben Affleck ha ottenuto?
Ebbene, oserei definirlo un film normale, una trama rapida che cattura ma che non convince fino in fondo; alcuni momenti critici ben riusciti, altri decisamente troppo classici (per non dire scontati). Sa tutto di già visto; un film che non osa, non va mai oltre le aspettative. Dall’inizio alla fine ci propone scenari ripetitivi, cliché quasi nauseanti che abbiamo visto già troppe volte…il tutto condito da un patriottismo che va ben oltre ciò che siamo abituati a vedere su un “Pearl Harbor” di turno.

SF: Un film di due ore totalmente proiettato su un unico climax “emotivo” e narrativo: la scena dell’abbandono dell’aeroporto. Il resto del film è un ridondante contorno di questo episodio, che nella sua centralità fa risaltare ancora più terribilmente le dinamiche banalissime (e riciclatissime) su cui è fondato.
[Il capo della sicurezza che sembra aver capito tutto..la telefonata di salvezza che viene ricevuta all’ultimo squillo..la rincorsa ai fuggitivi sulla pista dell’aereo in partenza che fallisce per un soffio.]
La scena conclusiva, poi, è un concentrato maleodorante di cliché idealistici. Quel che è peggio è che non si tenta neppure di malcelare quel mucchio stantìo di valori, non si cerca un impegno dissimulatorio nel fingere, anche banalmente, un “trapelare” di intenzioni.
Al contrario, è un prodigarsi sfacciato (un gesticolare vistoso!).
Il Trionfo anti-valoriale, in questo senso, si racchiude nel ritorno a casa dell’eroe.
A noi tutti era sembrato un agente segreto, all’interno di un’operazione segretissima.
Eppure pare che le sue gesta abbiano avuto notevole risonanza mediatica, a giudicare dall’abbraccio caloroso e dagli sguardi comprensivi coi quali lo accoglie la sua quasi-EX-moglie. E che dire di quella bandiera americana, ben piantata in giardino, al loro fianco, che sventola in tutta la sua elegante virilità autoerotica..(!?)

SC: Bene. Credo che non servano altre parole per descrivere la delusione che ci lascia questo film. Personalmente credo che Affleck sia un buon regista, nulla di più. Ha toccato il suo apice con l’oscar per la sceneggiatura a Will Hunting (assieme al suo grande amico Matt Damon) e magari, in futuro, potrà deliziarci con qualche altro coniglio dal cilindro; ma di una cosa sono sicuro: non è stato questo il caso.

Voto: 63%

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E’ sempre piacevole vedere Bryan Cranston

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Sceneggiatura non solo lineare, ma anche banale e imperfetta

Prova d’attore decisamente insufficiente per Ben Affleck

Cliché già visti miliardi di volte

Stefano Cherubini

Simone Ferrini