Fedelissimo al cortometraggio omonimo del 1984 dello stesso regista, Frankenweenie è una delle (ormai numerose) favole contemporanee ben riuscite di Burton.
Sotto cieli cartoonistici e tempestosi dalle tinte vintage degli anni 80, il film concentra i suoi elementi di forza su due punti tecnici paralleli (oltre che contenustici): Eros e Thanatos sotto il profilo di atmosfere e personaggi ben calibrati.
Victor è un bambino particolare, facente parte di quella bizzarra innocenza tipicamente Burtoniana. Estremamente timido e sensibile, preferisce la scienza e gli esperimenti agli interessi comuni dei suoi coetanei, aspetto che lo porta inevitabilmente all’isolamento (..ma anche alla stima!).
Sparky è un bambino mancato a quattro zampe. Una creatura che, a differenza del mostro classico di “Frankenstein” ha già un nome. Sparky è già un’identità che viene riportata in vita dal consolidamento dell’amore da parte di Victor, proprio come accadrebbe in chimica con un passaggio di stato, da quello aeriforme (dell’affetto) a quello solido (della vita) e la variabile emotiva è determinante (..come ci ricorda il professore in uno dei dialoghi più belli del film).
Assai facilmente rintracciabili (..almeno per chi conosce gran parte del patrimonio culturale sul tenebroso, cinematografico-e-non) sono le numerose citazioni disseminate in tutto il film. Dalle prime scene in cui il personaggio di Strenella è un chiaro rimando a “La bambina che fissava” del libro di Burton stesso “Morte malinconica del bambino ostrica e altre storie”, al manto della cagnetta di Elsa (Persefone, regina dell’oltretomba) palesemente ispirato alla capigliatura tratta da “La moglie di Frankestein”; dalla tartaruga di nome Shelley che rievoca il cognome dell’autrice del libro “Frankenstein” (di Mary Shelley appunto) alla scena finale nella cabina telefonica circondata dalle scimmie acquatiche con un riferimento evidente a “Gli Uccelli” di Hitchcock, per non citare la lunga serie di meta-mostri finali in cui Sparky si configura proprio come l’alter-Frankenstein, le scimmie di mare ricordano i Gremlins, Colossus la mummia, etc..
L’amalgama di bianco e nero, stop-motion e sfumature dark propriamente grottesche rendono il film tecnicamente impeccabile per il suo raffinato ma tenero gusto per l’orrido.
Risultato: i bambini si divertono, gli adulti si commuovono.
Voto: 100%
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Bianco e nero
Stop-motion
Temi, cura e realizzazione dei personaggi
Sonia Colavita|