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Stalker

 

Voto 19/20

Anche scrivere (..Anche leggere..) sarà un Viaggio.
Attraversare il film, sovrapponendo ogni passo a quello dei personaggi, traducendo, nella dimensione linguistica, gli eventi in Evento.
Perché volti, gesti, voci (nonché l’assenza contestuale di voci, gesti e volti), all’interno di quest’opera, sanno delineare, prima e al di là della scrittura stessa, un percorso grammaticale, con un suo lessico percettivo, una sua precisa sintassi esperienziale.

Il lessico?
Uno scrittore, un professore, una guida, uno spazio rurale, una stanza.
Meglio: Lo Scrittore, Il Professore, Lo Stalker, La Zona, LA Stanza.
Perché parliamo di Simboli, Allegorie, Strumenti concettuali, prima che di individui.
Diventa chiaro, nel corso dell’opera, quanto sia irrilevante l’aspetto fisico specifico di questi personaggi, la loro particolare storia, le loro scelte contingenti..neppure la narrazione, quale sviluppo di un Accadimento.
Accadimento (fra l’altro) del tutto “de-complessificabile” nella vicenda irrilevante di due uomini che chiedono a un terzo uomo di fargli da guida per attraversare una campagna deserta.
Apparentemente.

Non è chiaro, all’inizio, perché per raggiungere questo luogo sia necessario aggirare i numerosi posti di blocco delle forze armate.
Non è chiaro, allo spettatore, il passaggio sbalorditivo da immagini “seppiate” a immagini a colori, effettuato durante il lungo approdo dei protagonisti nella Zona, a bordo di un carrello mobile su un binario morto [più di 3 minuti (..esattamente, 212 secondi..) in cui la telecamera indugia sul profilo e sulla nuca dei tre uomini, come a incastonare la percezione, radicata e persistente, di un’inautenticità].

Una volta giunti nella Zona, lo Stalker si distanzia dai due uomini, “va all’appuntamento con la Zona”. È a casa, corre ad abbracciare ciò che gli è caro. Il Professore, intanto, spiega allo Scrittore cosa sia uno “Stalker”..e prova a spiegare cosa sia la Zona.
Riferisce, soprattuto, le sue informazioni circa l’apparente origine del Mistero di quel Luogo, attribuibile alla caduta di un meteorite, che rase al suolo un intero villaggio.
Quel meteorite non fu mai ritrovato. Così come le persone che si avventurarono nell’area del presunto impatto subito dopo l’evento.
Fu posizionato allora del filo spinato attorno ad un’ampia porzione di territorio, nonché un cordone di sicurezza atto a presidiarlo per tutta la giornata..affinché le persone fossero protette dalla Zona e (soprattutto?) affinché la Zona fosse protetta dalle persone.
Iniziavano a circolare voci circa l’esistenza di una Stanza, all’interno di quel luogo, nella quale “i desideri più intimi e segreti” di un uomo potevano ottenere realizzazione.

(“Che cosa poteva essere se non un meteorite?”
“Un messaggio per l’umanità..? O un regalo..!”)

Lo Stalker resterà una figura misteriosa, al pari della Zona, per quasi tutta la durata del film.
Non sono spiegate le ragioni che gli permettono di essere tale, dunque ciò che gli consente di percepire la Zona tanto nelle sue espressioni empatiche che nelle sue potenzialità distruttive.
Osservando le modalità di attraversamento del luogo da parte di questa guida, si ha come l’impressione che i personaggi stiano camminando lungo il dorso di una gigantesca creatura, pericolosamente affascinante, con la quale il solo Stalker ha un rapporto di “riverente familiarità”.
Si procede lungo percorsi apparentemente irrazionali di svolte rapide e improvvise, alternate a lunghe pause, nonostante il punto di arrivo (la Stanza) si trovi a poche centinaia di metri dal loro punto di partenza.
Si cammina ordinatamente in fila, ricalcando di volta in volta le orme dell’altro. Ci si affida a intuizioni circostanziali, al lancio di dadi (legati a nastrini bianchi), alla direzione e all’intensità del vento.
“Per la Zona, la strada diritta non è la più corta..” sentenzia lo Stalker.
“la Zona è forse un sistema molto complesso di trabocchetti..e sono tutti mortali..non so cosa succede qui in assenza dell’uomo..ma non appena arriva qualcuno, tutto si comincia a muovere..le vecchie trappole scompaiono e ne appaiono di nuove..posti prima sicuri, divengono impraticabili..e il cammino si fa ora semplice e facile ora intricato fino all’inverosimile..è la Zona..forse a certi potrà sembrare capricciosa..ma in ogni momento è proprio come l’abbiamo creata Noi, come il nostro stato d’animo..non vi nascondo che ci sono stati casi in cui la gente è dovuta tornare indietro a mani vuote..alcuni sono anche morti, proprio sulla porta della Stanza..ma quello che succede non dipende dalla Zona..dipende da noi..”
Questo rapporto tra Uomo e Luogo si stringe spesso a tal punto, che è del tutto lecito porsi domande circa l’effettiva realtà dell’esperienza, pur non riuscendo a stabilire con certezza se la Zona sia una proiezione immaginifica dello Stalker, o se lo Stalker possa rappresentare un’emanazione comunicativa della Zona.
La narrazione sembrerebbe suggerire un’appartenenza reciproca, per una sorta di “empatia-presenziale” che, traducendo ogni movimento (nonché ogni intenzione di movimento) in gesto Comunicativo, permette all’Uomo di sentirsi propriamente sé stesso soltanto nella Zona (appena giunto, dopo aver aspramente litigato con sua moglie, abbraccia le piante, gettandosi sul terreno) e alla Zona di sentirsi pienamente significativa solo attraverso la mediazione di questa specifica individualità umana.

Dopo un’ora di film, quando sembra di aver già compiuto gran parte del percorso di sviluppo, Tarkovsky inizia a graziarci con una serie di doni fotografici e linguistici.
Principiati da un breve monologo dello Stalker, al di sopra di un pozzo, la cui superficie, infranta da una pietra, si ricompone poco a poco. “Che si avverino i loro desideri, che possano crederci, e che possano ridere delle loro passioni. Infatti ciò che chiamiamo passione in realtà non è energia spirituale ma solo attrito tra l’animo e il mondo esterno. E soprattutto che possano credere in se stessi, e che diventino indifesi come bambini, perché la debolezza è potenza e la forza è niente. Quando l’uomo nasce è debole e duttile, quando muore è forte e rigido, così come l’albero: mentre cresce è tenero e flessibile, e quando è duro e secco, muore. Rigidità e forza sono compagne della morte, debolezza e flessibilità esprimono la freschezza dell’esistenza..ciò che si è irrigidito non vincerà..”
Durante questa “fase divagatoria”, colma di dialoghi, attriti verbali, scorci naturali, vi sono anche dei brevi intermezzi (mnemonici? onirici?) in cui viene recuperato il “seppia”..come se perfino l’interiorizzazione percettiva degli eventi fosse un allontamento decisivo (una fuga!) dalla Presenza concreta e arazionale della Zona.

L’atmosfera della Zona e l’atteggiamento dei personaggi si sviluppa in un crescendo spiazzante. Un tunnel apparentemente innocuo, definito “tritacarne”. Un’ampia stanza piena di dune di sabbia, con delle spesse colonne ai lati, e un pozzo al centro. Una piccola abitazione in rovina, che sembra mutuata da uno scenario post-bellico. Un telefono inspiegabilmente funzionante, che squilla.
E il disagio dei tre uomini che si acutizza.
Le ambizioni deluse dello Scrittore che affiorano drammaticamente.
Il progetto del Professore di distruggere la Zona che si rivela.
Il dolore dello Stalker, impotente, dinanzi alla sofferenza, all’angoscia e alla distruttività contagiosa che quegli uomini Comunicano.

(“Perché lei mi vuole distruggere la Zona? È la sua speranza che vuole distruggere? Non è restato nient’altro alla gente su questa Terra, questo è l’unico posto dove si può venire quando non c’è niente in cui sperare.
Siete venuti anche voi! Perché volete distruggere la fede!?”
“Zitto, sta zitto! Ormai ho imparato a conoscerti bene, te ne freghi tu della gente, tu guadagni soldi sfruttando la nostra angoscia, sì la nostra angoscia..e non è neanche una questione di soldi. È perché qui tu te la godi, sei signore a padrone. Tu, verme pidocchioso, decidi chi deve vivere e chi deve morire. Sceglie! Decide! finalmente sono riuscito a capire il motivo per cui voi Stalker non entrate mai nella Stanza. Ma perché ? Qui vi ubriacate di potere, di segreti, di autorità..Quali altri desideri ci possono essere!?”
“Non è vero, lei si sbaglia..uno Stalker non può entrare nella Stanza. Uno Stalker per se stesso non può chiedere niente. Ricordatevi del porcospino. Sì, sono un verme, non ho combinato niente, e nemmeno qui posso fare niente. Perfino a mia moglie non sono riuscito a dare niente. Non ho amici e nemmeno posso averne. Ma non toglietemi quello che è mio. Mi hanno già tolto tutto là, dietro a quel filo spinato. Tutto quello che ho è qui, qui nella Zona, la mia felicità, la mia libertà, la mia dignità., tutto qui. Io porto qui solo quelli come me, infelici, disperati, che non hanno più niente in cui sperare..e io posso capire, posso aiutarli. Nessuno può farlo, ma io, il verme, sì che posso. Ecco è tutto qui quello che ho, niente altro e non voglio, non desidero niente altro..”)

Incantevole, nella sua cristallina caoticità, il momento conclusivo di questo confronto fra i tre uomini.
Immobili. In silenzio.
Seduti in terra, proprio davanti il punto di accesso alla Stanza.
Implosioni parallele, INespresse.
Una pioggia temporanea, invade l’edificio.
Il Professore lascia scivolare la bomba, INesplosa.

Poi, tutto viene catapultato di nuovo nella quotidianeità dell’esistenza al di fuori della Zona.
Solo Qui, Solo Ora (..lontano dal Suo universo ritualistico..strappato al “grembo” della Zona..) nasce il dolore dello Stalker.
Qui-ed-Ora, quell’individuo inafferrabile, ci svela la spontaneità limpida di quel Mistero. A letto, sofferente, accudito dalla moglie, realizza la totale assenza di speranza che pervade l’uomo.
La Stanza non ha senso, la Stanza non serve, se nessuno ha più fede.
Ed è proprio la donna, personaggio marginale fino a quel momento, che, a questo punto, interrompe l’Evento filmico, guarda verso la telecamera, mentre si accende una sigaretta, e (con questo gesto diretto di introduzione ad un linguaggio meta-filmico) riabilita, oltre al marito, lo sviluppo intero delle vicende dell’opera, le potenzialità dell’umanità intera, e l’intero sistema valoriale, manifesto e latente, racchiuso nel vissuto umano.
Espressione linguistica di un’energia volitiva inquieta, che si oggettiva, senza ulteriori didascalie, nelle suggestioni visive degli ultimi (inattesi) fotogrammi.

|SF|