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Dancer in the dark

Voto 18/20

Un dolore acerbo, che non matura.
Una fitta al fianco che non giunge a compimento..eppure definitiva, con la quale durante e dopo (e oltre) la visione del film si è costretti a convivere.

Perché fa rabbia.
Fa rabbia che si riesca a provare rabbia per ciò che è buono, per un sentimento di empatia pervasivo, a tal punto da ritenere estremo ogni gesto di autentico altruismo.
Rabbia che contamina (e sublima?) il dolore insostenibile generato dal desiderio paradossale di questa donna di Fare Luce convogliando in sé l’Oceano d’Ombra attorno. Desiderio che non trova espressione in uno slancio di chiarificazione, dunque, ma in una forma assoluta di Sacrificio che aggiunge ombra al buio. Che non serve, in definitiva, a rendere migliore la Realtà, ma a donare la parvenza fugace di una sua maggiore comprensibilità.
Il “Bene” non ordina, né purifica, né afferma.
Ma sposta, copre, nega.

Il Buio non è Gli Altri.
Anzi, i personaggi che compongono l’opera sono tutti così straordinariamente mossi da buone intenzioni da accentuare, perfino, il senso di assurdità che permea lo sviluppo degli Eventi.
Dall’amica premurosa allo spasimante tenace..perfino il datore di lavoro, costretto a licenziarla..perfino l’uomo che determina l’evolversi drammatico delle vicende, che sembra agire egoisticamente, non vuole che preservare l’insieme di solide certezze della moglie..agisce per il bene di una persona cara.

Il buio non è Gli Altri, ma l’Altro, la Totalità del Reale.
Danzare NEL buio appare come sinonimo (tautologia!) di Esistere.
La cecità della protagonista serve a rivelare una traduzione somatica della distanza incolmabile tra Immagine della Realtà e Realtà, come tra Realtà Interiore e Realtà Esteriore.

Un film claustrofobico, nella misura in cui persegue il progetto sacrificale di attirare il restringimento delle pareti del mondo attorno alla sola protagonista (protagonista terribilmente coincidente con il “Punto di immedesimazione” dello spettatore).

La grande pecca di quest’opera, paradossalmente, risiede nel suo ritmo strutturale.
Il corpo complessivo dell’opera tende a non muoversi, non danza..ma si trascina a fatica nelle due ore (e un quarto) di durata.
Sarebbe bastato molto meno.

“Sognavo di trovarmi in un musical..perché nei musical non accade mai niente di terribile..ma qui c’è tanto silenzio”
(Queste le parole di Selma durante la prigionia).
Il Buio (..ovvero la cecità..ovvero la privazione..ovvero la sofferenza, in ultima analisi) acuisce gli altri sensi (..l’udito, in questo caso, quale allegoria di una nuova forma di percezione, in grado di cogliere, nel Reale, il suo potenziale intrinseco di positività).

|SF|