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Elephant

“Un giorno qualunque di scuola superiore. Peccato che non lo è.”

Quella di Gus Van Sant è l’opera del “non-spiegato”Elephant
Una realtà setacciata direttamente dai protagonisti del film. Un collage ripetuto di tanti sguardi specifici sotto l’uso della steadycam.
Il risultato è automatico, l’approccio realistico determina una narrazione diretta degli eventi che si susseguiranno nell’arco di questa sola ed unica giornata. La realtà che ci appare è prismatica, frammentata dalle tante visioni. Sullo schermo sono proiettate sempre le stesse scene a seconda dei singoli punti di vista.
Queste differenti soggettive suggeriscono un chiaro isolamento delle varie identità dei personaggi che si presentano solo uno alla volta.
L’incredulità è il sentimento comune a tutta la durata del film (..e anche dopo l’epilogo continueremo a non capire in che modo una mattinata qualunque possa diventare teatro di una sanguinosa strage in così breve tempo).
Ci assale l’inspiegabilità del “non-visto”, l’incomprensibile follia di un progetto simile che in soli 80 minuti vede contrapporsi al minimalismo di azioni quotidiane un’agghiacciante risvolto.
“Elephant” è paragonabile ad una grande fotografia-documentario e noi siamo gli spettatori dei piccoli dettagli che vengono fuori con l’accurato uso di un super-zoom. La fotografia si regge su continui cambi di intensità in linea con i cambi di luogo, inquadrature ed atmosfere (..sebbene ci siano molte costanti visive: la natura, il giallo..) Elephant_1
Il tempo è stagnante, connesso all’incomunicabilità propria di tutti i protagonisti. La telecamera a spalla segue tutte le figure stereotipate (..la sfigata, il ragazzo col padre alcolizzato, il gruppo di amiche bulimiche) senza tregua, di spalle, con l’uso di interminabili piani-sequenza e silenzi-dialoghi quasi insostenibili (..un chiaro esempio è la battuta finale con la quale si chiude brutalmente il film).
La sonorità della pellicola (..che non ha una vera e propria colonna sonora) è l’effetto libero del contesto narrativo. Le sinfonie di Beethoven emergono come fossero i pensieri dei protagonisti tradotti in note (..soprattutto di uno dei carnefici, appassionato di musica: è come se i toni angoscianti della “Sonata al Chiaro di Luna” fossero il suo motivetto, la prefigurazione della tragedia che sta per compiersi). Elephant
I due giovani assassini, non hanno nessun trattamento speciale (..siamo a conoscenza solo dei loro interessi: musica, videogames, armi). Sono freddi, come la macchina da presa che guarda tutti indistintamente..
..come l’occhio impassibile di chi finge di non vedere un elefante dentro una stanza.

E poi
..il finale.
“Ambarabà ciccì coccò..”

 

Voto: 84%

[+]
– Finale
– Piani-sequenza
– Beethoven
– Steadycam

[-]
– La “banalità” del disagio giovanile
– Lo stupore suscitato dai tecnicismi cinematografici (..steadycam, piani-sequenza, ecc..) potrebbe allontanare il coinvolgimento concettuale ed una probabile identificazione dello spettatore

Sonia Colavita|