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South Park: Genio o Volgarità?

South Park

Era il lontano 1997 quando i South Park videro la luce. Che piaccia o no, hanno cambiato radicalmente il modo di intendere il cartoon. Possono essere considerati gli eredi morali (o l’evoluzione diretta) dei Simpson prima e dei Griffin poi, senza alcuna ombra di dubbio. La serie, nata dalle menti geniali di Matt Stone e Trey Parker, ha suscitato da subito grande clamore, spaccando completamente critica e pubblico. C’è chi li definisce “fottutamente” divertenti, chi li definisce volgari, chi geniali o chi addirittura blasfemi. Ma è davvero possibile fornire un giudizio così netto su Cartman & Co.?

Analizzando un attimo i “fratelli maggiori” (Simpson e Griffin), ci si rende conto come South Park mescoli e ridefinisca i canoni classici del cartone, e addirittura l’uso ultimo che se ne può fare. Se le vicende di Peter Griffin (o ancor meglio di Homer Simpson) portano sempre ad un finale moralista, dove, nonostante dei personaggi bizzarri e a volte anche politicamente scorretti, si finisce sempre col rendere una qualsiasi azione (buona o cattiva che sia) al servizio dell’anima candida di un cartone per bambini, la serie di Stone e Parker rimescola tutto abbandonando qualsiasi risvolto moralistico. Anche negli episodi più “leggeri” non c’è un minimo accenno ad una sorta di significato ultimo; si cerca sempre e solo di raccontare delle storie, nella maniera più diretta possibile. Ed è in questo che la serie può essere considerata estremamente volgare: che si prenda di mira una religione od una razza, lo si fa sempre con una schiettezza impressionante, lì dove il personaggio di Eric Cartman giganteggia enormemente…

…ma, se la volgarità rende South Park una serie che ha veramente poco a che fare con un programma educativo, allo stesso tempo, grazie al modo originale ed assolutamente satirico con il quale viene utilizzata, la eleva ad una genialità pura ed innegabile. Per rendere meglio l’idea, potremmo paragonarla alla comicità di Daniele Luttazzi [o, citando (per così dire) le sue “fonti”, alla comicità di Billy Hicks]. Le parolacce e i vezzeggiativi razzisti e sessisti sono all’ordine del giorno, così come numerose parodie di personaggi storici e contemporanei di ogni tipo (soprattutto americani).

Altro aspetto decisamente fuori dal comune è lo stile grafico, al tempo stesso poverissimo e ricchissimo. Difatti, se dal punto di vista strettamente artistico la serie non si può definire un capolavoro, dal punto di vista prettamente funzionale rasenta la perfezione. L’armonia che c’è tra lo stile grafico e il carattere della serie è davvero senza limiti, tanto che ci si chiede come una serie del genere avrebbe potuto avere altrettanto successo con un’impostazione artistica differente.

South Park è decisamente una serie TV “non per tutti”; prima di tutto, bisogna riconoscere che la satira che viene imposta non è di stampo globale. Ha decisamente un tratto molto americano, e presenta dei caratteri e dei rimandi generazionali davvero notevoli. In secondo luogo, bisogna certamente riconoscere come un personaggio come Cartman (e non solo lui) possa suscitare disgusto e distaccamento da una serie che fa della satira razziale e religiosa il suo cavallo di battaglia.

Certamente destinata a rimanere nella storia, South Park continuerà a divertire, a stupire e (perché no) a suscitare sentimenti di disgusto. Ma, che la si ami o la si odi, bisogna riconoscerne l’importanza storica nell’evoluzione del cartoon.

Stefano Cherubini