Archivi del mese: aprile 2013

Shutter Island

Voto 16/20

P.S.
Tutto il film è un’operazione di depistaggio nei confronti dello spettatore.
Anche il Finale.
Non pochi [leggasi “Molti”] hanno inteso la sequenza conclusiva come testimonianza di un percorso riabilitativo incompiuto. Il protagonista ricadrebbe nell’irrealtà, nel diversamente-reale, in quella sorta di oblio dinamico nel quale aveva trovato asilo (prigione elevata a fortezza).
Con lui, decadrebbe anche la prospettiva utopistica dei medici di trovare una Cura
(Cura, come attenzione terapeutica e considerazione umana).
Eppure l’autore [integrando magistralmente il testo da cui il lavoro cinematografico è tratto] ci concede (sotto forma di domanda) un motivo di dubbio, rispetto a questa ipotesi:
“Cosa sarebbe peggio..
..vivere da mostro o morire da uomo per bene?”.
Il dubbio, in verità, si offre come mero artificio letterario, poiché mostra più di quanto intende celare. Rivela, infatti, la scelta cosciente da parte del protagonista di affrontare la “morte” (psichica) come atto emotivo di distensione ultima e come atto simbolico di comprensione definitiva, interrompendo le intermittenze lesive della sua coscienza.

Tutto il film è un’operazione di despistaggio.
La collocazione temporale degli eventi (nel periodo post-bellico), l’ambientazione austera (l’ospedale psichiatrico), l’impenetrabile atmosfera che permea l’istituto (atmosfera visiva e auditiva).
[Merita un cenno particolare la colonna sonora, capace di intrecciare differenti tratti di intensità all’interno di un unico arco espressivo, da Ligeti a John Cage, da Penderecki a Morton Feldman, da Schnittke a Brian Eno.]
Soprattutto, però, è la caratterizzazione incisiva dei singoli personaggi a determinare l’affermarsi di monolitiche convinzioni da parte dello spettatore.
Il Direttore algido e severo, lo staff medico evasivo, pazienti confusi e deliranti che puntualmente dispensano presagi traboccanti d’inattesa lucidità.
Il film riesce a inanellare una serie di caratteristiche che conducono all’evidenza di una spiegazione apparentemente prevedibile. Ogni elemento converge verso l’emergente follia del protagonista, in una duplice orbita che comprende le segrete macchinazioni dei dottori dell’istituto (di cui il medico tedesco sarebbe cardine).
L’osservatore, in virtù di tutto ciò, si crogiola nelle proprie convinzioni (giace in una forma concettuale di autoerotismo).
Per poi scoprire che tutto è finzione.
Ma non vi è stato errore di calcolo.
È il calcolo stesso delle trame narrative che si rivela inefficace.

Tutto il film è un’operazione di despistaggio, dunque.
Così come questa Recensione.
Nel suo centrare l’attenzione sulla presunta operazione di depistaggio, depista.
Il cuore pulsante, che costituisce la perla radiosa dell’intero progetto, e lo alimenta, risiede nel gioco strutturale degli individui.
Il film ricrea perfettamente, nel film, la finzione narrativa. Gli attori interpretano personaggi che interpretano ruoli.
I ruoli vengono stabiliti e relazionati in maniera impeccabile (nell’accezione “accademica”). Protagonista, co-protagonista, antagonisti agiscono su questo vasto palcoscenico, sublimando nell’evento attoriale modalità comunicative altrimenti improduttive.
Se torniamo al livello emergente dei personaggi (quello intermedio fra attore e ruolo) ci troviamo spiazzati di fronte alla sostanziale fissità drammatica della Vicenda.
La realtà esterna viene praticamente privata di ogni elemento di conflittualità.
La dialettica si riduce ad una traiettoria filiforme verso la quale convergono tutte le forze in gioco, affluendo sinergicamente al solo scopo di risanare la dispersione frammentaria del protagonista.
La Dialettica Narrativa si rivela quale proiezione di una conflittualità tutta interna al Primo Attore, che a sua volta si rivela quale proiezione animica di un Palcoscenico Interiore.

Ha un certo valore, infine, notare e sottolineare la forma specifica della domanda conclusiva.
Andrew non chiede “Cosa è meglio..?” ma “Cosa sarebbe peggio..?”, eccezionalmente conscio del fatto che entrambe le alternative, più che “soluzioni”, rappresentino comunque esiti meramente palliativi.
Il condizionale, poi, acuisce la percezione di una distanza meditativa dalle due direzioni. Confina l’ora in un limbo contemplativo, diluendone il potenziale catartico.
È proprio attraverso questa ritrovata plasticità dell’istante, all’interno di questa regione temporale di confine, che l’alienazione assurge a luogo di cittadinanza..almeno per quel breve tratto di esistenza che separa la caotica moltitudine del Vissuto dalla caotica opacità dell’Assente.

|SF|


Indagine su un Cittadino al di Sopra di ogni Sospetto

Per quanto sia difficile recensire questo film [o anche solo immaginare di discuterlo], occorre fare almeno un tentativo. E lo faremo in totale onestà, ammettendo già dalle prime righe che si tratta di qualcosa decisamente più grande di noi, un progetto di Alienazione, di Perfezione…che riesce totalmente. La follia che Elio Petri dipinge fin dalle prime riprese è allucinogena, sconvolgente, accompagnata da una colonna sonora (firmata da Morricone) entusiasmante, che amplifica la sensazione di straordinaria Perdizione nei confronti di una devozione diabolica.

Roma. Il giorno stesso della sua promozione al comando dell’ufficio politico della questura, il capo della sezione omicidi assassina la propria bellissima amante nel suo appartamento. Il suo obiettivo sarà condurre un Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto.

Sarebbe totalmente inutile fornire ulteriori dettagli, rischiando quasi di sminuire quello che rappresenta l’opera stessa. Un viaggio caricaturale attraverso le mille facce della giustizia italiana, estremizzando e portando all’eccesso Dostoevsky e Kafka, senza mezze misure. Un Capolavoro Assoluto senza tempo e senza fine, immenso a qualsiasi livello, mai banale, mai irreale, perché nonostante siamo di fronte ad una rivoluzione del Surreale, il film non si arresta e non lascia mai alcun dubbio sulla perfezione degli intrecci. Fluidità, Armonia, Equilibrio: anche nei momenti critici coesistono in uno stato di Grazia Filmica calata dall’alto. Non ci sono dubbi: se esistesse una divinità del Cinema, questa si incarnerebbe nel film di Petri.

Il resto è superfluo, totalmente. Inutile spendere righe sulle diverse citazioni presenti o sul messaggio metaforico…è un viaggio che va attraversato singolarmente, con coraggio, più volte, cercando di afferrare la sottigliezza più acuta e brillante in un mare di ricchezze e talento, in ogni goccia, in ogni onda, in ogni soffiata di brezza…e goderselo senza badare al resto, ammirandolo dall’alto della sua interezza, contemplandolo ogni secondo, desiderando di non svegliarsi mai più.

Qualunque impressione faccia su di noi, egli è un servo della legge, quindi appartiene alla legge e sfugge al giudizio umano. [Franz Kafka]

Voto: 100%

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Perfezione assoluta, in ogni aspetto

Stefano Cherubini